Approda all'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo una tecnica chirurgica innovativa per la cura del tumore al fegato, messa a punto nel 2012 dal medico bavarese Andreas Schnizbauer all' Università di Ratisbona.
La procedura, detta Alpps (acronimo di Associating liver partition and portal vein ligation for staged hepatectomy), trova applicazione nei casi in cui l'asportazione completa del tumore richiederebbe il sacrificio della maggior parte del tessuto epatico e la porzione rimanente non sarebbe sufficiente a mantenere in vita il paziente, nonostante le note capacità del fegato di rigenerarsi.
La tecnica consiste in due interventi chirurgici distinti, eseguiti a pochi giorni l'uno dall'altro: nel primo la parte di fegato interessata dal tumore viene separata completamente da quella sana, ma non asportata dall'addome. Contemporaneamente le viene tolto il nutrimento proveniente dalla vena porta, grosso vaso che ha il compito di convogliare al fegato il sangue proveniente dalla digestione intestinale e dalla milza, ma non l'afflusso di sangue arterioso per evitare la necrosi. In questo modo la parte di fegato malata contribuisce a garantire una funzionalità epatica sufficiente, dando il tempo alla parte sana di crescere.
"Fino ad oggi prima di queste resezioni estreme procedevamo all'occlusione, con tecnica radiologica, dei rami della vena porta che nutrono la porzione di fegato da asportare. In questo modo si otteneva la crescita della porzione sana da risparmiare in circa 4-6 settimane, periodo in cui però il tumore aveva la possibilità di estendersi ulteriormente. Inoltre la crescita non sempre era completa e sufficiente, a causa delle comunicazioni venose presenti all'interno del tessuto epatico" spiega Michele Colledan, direttore del Dipartimento chirurgico dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII "Con la nuova tecnica, invece, i tempi sono notevolmente ridotti. In media in 9 giorni si ottiene un accrescimento del 70%"
Trascorsi dai 7 ai 15 giorni dal primo intervento è possibile passare al secondo stadio chirurgico, nel corso del quale, interrotte le rimanenti connessioni vascolari e biliari della parte malata, se ne completa la asportazione. Al paziente resterà così una porzione di fegato sana in grado di soddisfare autonomamente le esigenze dell'organismo.
"Siamo riusciti ad introdurre nel nostro centro questa pratica in poco tempo: sul piano tecnico deriva, ed è sostanzialmente identica alla divisione del fegato (split) che applichiamo regolarmente per trapiantare due pazienti con l'organo di un unico donatore e per cui siamo tra i centri più attivi nel mondo " spiega Colledan "Ancora una volta si conferma la sinergia tra chirurgia dei trapianti e chirurgia generale nello sviluppo di approcci chirurgici innovativi e complessi ma sicuri ed efficaci, a beneficio di tutti i nostri malati".